Pale d’altare dei Santi Leucio e Pelino nel Duomo di Brindisi

Racconta il Bacci che, ai lati dell’altare maggiore della Cattedrale di Brindisi in “cornu Evangelii” c’è l’altare di S. Leucio con pala in tela rappresentante il Santo che predica al popolo, pitturata dal sac. Don Oronzo Tiso da Lecce discepolo di Francesco Mura; dalla parte opposta in “Cornu Epistolae” insiste l’Altare di S. Pelino con quadro in tela ritraente il “Santo che riceve il martirio”, dipinto dallo stesso sacerdote leccese Don Oronzo Tiso.
Ambedue gli altari erano stati costruiti in calce e stucco dall’Arciv. Giuseppe De Rossi (1765-1778); e Mons. Pietro Consiglio (1825) demolì la mensa ed i gradini per sostituirli di marmo, come al presente.

San Leucio – Protovescovo di Brindisi

San Pelino – Vescovo di Brindisi

A proposito di don Oronzo Tiso, autore dei due dipinti, Michele Paone autore di un saggio sull’artista (http://emeroteca.provincia.brindisi.it/) ci fa sapere che a Lecce, nella via a lui intestata è la casa in cui abitò quel singolare prete che fu “il più significativo pittore del XVIII secolo”. Educato alla scuola degli Ignaziani suoi dirimpettai, loro alunno in Lecce, dove nacque il 18 maggio 1726, fu ospite della lor casa in Napoli che, dal 1746 al 1749 lo vide studente di diritto civile e canonico e di pittura. Tornato in patria a 25 anni fu ordinato sacerdote e partecipò con il Solimena alla fattura di numerose tele per la chiesa di S. Irene a Lecce. (Il dipinto è il bozzetto preparatorio del grande sovrapporta per il Duomo di Lecce che O. Tiso realizzò nel 1758. Come si ricava, infatti, dalle Cronache del Piccinni, la tela fu collocata nella sua sede originaria – ora è sistemata nella chiesa di S. Irene – il 12 dicembre di quell’anno. Opera di particolare impegno per dimensioni e per numero di figure, fu certamente banco di prova nel genere della pittura con funzione eminentemente decorativa. http://museo.diocesilecce.org)

Chiesa di S. Irene a Lecce: Il trasporto dell’Arca Santa di O. Tiso – Foto Brundarte

Formatosi alla scuola del Solimena, il Tiso “risentì l’influsso di altri pittori condiscepoli, del De Mura e del corregionale Giaquinto, ma permeò la sua cultura napoletana che gli rese spigliato il disegno e gradevole, per la dorata gamma delle luci, la preziosa policromia delle tinte, con la suggestione e il fascino di dolci ombre veneziane e di vaporosi accenti lagunari che rivelano un fantasioso temperamento aperto alle raffinatezze formali del gioco degli effetti luminosi e cromatici e alle delizie di un discorso compositivo quanto mai agile ed elegante.
Domenico Bacci, Cattedrale Brindisina. Tip del Commercio, 1924 (pp.128-9)

Pala d’Altare “S. Leucio che predica al popolo”

Bellissima immagine del Santo agli albori del Cristianesimo, in una Brindisi che ha sullo sfondo i Templi e e le statue degli Dei, parla al popolo rappresentato da uomini facoltosi e ben vestiti in primo piano, ma anche da una donna che allatta il proprio bimbo e uomini a piedi e a cavallo sullo sfondo. Mentre un giovane gli porge il crocifisso e un altro il pastorale, in alto già si addensano nuvoloni neri a presagire la tanto invocata pioggia.

Annibale De Leo nelle sue memorie raccolte da Vito Guerrieri, ci dice che, da studi fatti “S. Leucio Martire discepolo di S. Pietro, fu il primo apostolo dei Brindisini, che venne a spargere in questa città i primi semi della fede di Cristo”.

Padre Andrea Della Monaca nella sua Memoria Historica (p. 263) racconta:

“Fu sì efficace la predicazione del Santo Apostolo Brundusino che in breve tempo ridusse quel popolo col suo Re alla fede cristiana, avendoli impetrato con le sue preghiere la pioggia desiderata, che per due anni n’era stata sitibonda (assetata arc.) la terra; nè tantosto (subito arc.) fu vista la miracolosa pioggia, ch’il Re con tutto il Popolo, ch’arrivò al numero di ventisette mila persone, si lavò dalle macchie de’ peccati nel Sacro fonte battesimale, che stava nell’umbilico (ombelico) della Città, benchè oggi sia fuora; fu anco da’ Brundusini ad istanza dell’Apostolo, dedicato quell’antico Tempio dove si adoravano i luminari (astri splendenti) maggiori del Sole e della Luna, in onore della gloriosa Madre di Dio e di S. Giovanni Battista, che ha durato quasi per mille e cinquecento anni con lo stesso battisterio, il quale era cavato in terra, con gradi in giro, come quel di Costantino, che si vede in Roma a S. Giovan Laterano, ma per trascuraggine de’ cittadini è stato rovinato dalle fondamenta per servirsi di quella materia per fabbricarvi ivi appresso un Monasterio alli Padri Cappuccini, avendosi potuto avvalere d’altre pietre, che non mancavano, acciò si conservasse l’antica memoria della cristianità brundusina per gloria del loro Apostolo S. Leucio. (..Il Santo) se ne volò glorioso e trionfante nel cielo, alle undici del mese di gennaro, anni di Cristo 164.

Wikip. (Di Dnalor 01 – Opera propria, CC BY-SA 3.0 at, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38457335)

Diede il Re col popolo, non senza copiose lagrime, onorata tomba a quel S. Corpo nell’istesso luogo dove primieramente, dopo disceso dalla nave, avea sparso le prime semenze del Vangelo, e sopra quel tumulo fabbricarono la chiesa dedicata al suo nome, che fino ad oggi (a. 1674) si vede tutta intiera.

Nicola Vacca in Brindisi Ignorata (pp. 188-91) ha ritrovato il grafico di quella chiesa intitolata a S. Leucio qual era prima della sua demolizione avvenuta nel 1720. Il disegno, nel quale purtroppo manca la facciata, fu eseguito nel 1757 dall’architetto Pietro Mercie di Villanova, a relazione di Michele Bruno, uno dei muratori superstiti che nel 1720 demolirono la chiesa.
Le pietre di essa, come se altre non ve ne fossero nel sottosuolo, furono adoperate per la costruzione del Seminario di Brindisi che, com’è noto, fu eretto su disegno di Mauro Manieri di Nardò. (..)
La chiesa, ch’era a forma basilicale, “era sita in faccia all’attuale porta occidentale (detta di Mesagne) da essa lontana non più che circa dugento passi.”

Disegno dell’antica chiesa di S. Leucio dell’arch. P. Mercie di Villanova

Pala d’altare “San Pelino che riceve il martirio”

San Pelino circondato dai carnefici che lo massacreranno con ottantacinque ferite sotto gli occhi dei Sacerdoti dell’idolo, mentre il popolo si dispera e gli angeli scesi dal cielo già gli porgono la corona del martirio arricchita di altrettanti luminosi diamanti

Racconta Annibale De Leo (v. infra) che sotto il governo del Vescovo Aulo Proculo, il basiliano S. Pelino di Durazzo, sfuggendo alla persecuzione di Giuliano Apostata, s’imbarcò insieme ai suoi compagni Sebastio, Gorgonio, e Ciprio ancora giovanetto in tenera età, alla volta del porto di Brindisi, ”unico refugio de’ Cristiani, essendo il resto della Puglia sedotta dall’empio Imperatore” (A. Della Monaca, v.infra). A. Proculo accolse amorevolmente i novelli ospiti e, dopo essersi bene informato sulla loro patria, pietà e fede e aver conosciuto le particolari doti del santo che era dottissimo nelle scienze e, particolarmente nelle lingue, possedendo perfettamente la Caldea, la Siria, la Greca e la Latina, dichiarò Pelino arcidiacono della chiesa brindisina, Sebastio e Gorgonio bibliotecari della stessa, e il giovanetto Ciprio rimase sotto la disciplina di Pelino suo precettore.
Successivamente, a causa dell’età molto avanzata,  lo stesso Vescovo lo propose al clero e al popolo come suo successore; ed egli stesso lo condusse a Roma con procedura inconsueta, poiché associava il nuovo venuto nell’episcopato designandolo quale suo successore. A tal fine era infatti richiesto l’avallo papale; i sinodi avevano infatti contrastato ogni tentativo dei vescovi di designarsi un successore. La disposizione con cui Proculo aveva designato il proprio arcidiacono Pelino all’immediata successione aveva dunque bisogno dell’avallo diretto del papa. Ottenuta la desiderata conferma il non ancora quarantenne Pelino assume la dignità episcopale, ma, durante il viaggio di ritorno, a circa diciotto miglia da Roma propriamente ad Azio, il Beato Proculo muore e in suo onore, in quel luogo, venne edificato un tempio.

De Leo: “Pelino, assunto il peso dell’apostolico ministero, dopo di avere governata per breve tempo la sua chiesa, e convertite molte migliaia d’idolatri alla fede di Cristo, e fra gli altri il Prefetto Simpronio ed il Duce Aureliano, fu da’ ministri imperiali menato in Roma, e di là trasportato per la via Ardeatina ai Peligni, meritò la corona del martirio nel luogo medesimo, in cui fu poi eretta in suo onore la Cattedrale di Valve, ed i Brindisini successivamente elessero il loro Vescovo S. Ciprio, il diletto discepolo di Pelino.”

Per approfondire le tue conoscenze sulla Cattedrale di Brindisi leggi il nostro articolo QUI

Bibliografia:

P. Andrea della Monica, Memoria Historica dell’antich. e fedeliss. città di Brindisi. Ristampa anastatica

N. Vacca, Brindisi Ignorata. Ristampa anastatica

A. De Leo, Dell’antichissima città di Brindisi e suo celebre porto

P. Domenico Bacci, Cattedrale Brindisina. Brindisi Tip. del Commercio, 1924

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